Il Pianeta Perduto
2018di Beba Stoppani
Quando lo sguardo finalmente si riapre sull’infinito spazio stellare, ritorna improvvisa l’emozione dell’incontro… il Pianeta tanto amato ruota nell’infinito vicino a noi.
Fortissimi ritornano i ricordi della sua bellezza, della vita esuberante meravigliosamente complessa, le memorie della sua storia, i legami, i conflitti perturbatori di un mondo di infinite interconnessioni ormai ridotto al silenzio…
Quarto ed ultimo dei lavori sulla Terra e la problematica ecologica il “Pianeta perduto” si colloca come punto di arrivo di un discorso che partendo dalla problematica dello sfruttamento massivo delle risorse (“TerraMadre”), la volontà di sensibilizzazione rispetto al sovrariscaldamento globale (“0 gradi a 5000 metri”) e mostrando poi come punto di riferimento positivo la salvaguardia dell’ecosistema in Islanda (“Sogno di una notte…”), approda alle grandi incognite del futuro.
di Gigliola Foschi
La bellezza e le meraviglie della Terra, ma anche il dolore per il nostro “pianeta perduto”, avvolto nelle spire del riscaldamento globale. Dopo le sue ultime ricerche dedicate al problema dello scioglimento dei ghiacciai (0° a 5000 mt) e alla salvaguardia dell’ecosistema in Islanda (Sogno di una notte…), Beba Stoppani propone una nuova serie di opere dove il suo sguardo sa stupirsi e perdersi di fronte alle bellezze della natura, ma anche farsi carico, con sommessa dolcezza, delle sue sofferenze. Il lavoro di questa autrice non è illustrativo, né documentario: ogni sua opera, infatti, è una carezza, un sussulto d’amore, la traccia di una vicinanza, di una prossimità. Le sue fotografie delle sabbie in Messico ci avvicinano delicate alla materia stessa del terreno. Immergendoci spaesati tra questi granelli sabbiosi – stranamente simili ai minuscoli segni calligrafici e pittorici dei quadri di Mark Tobey – ci sentiamo invitati a sognare dolci paesaggi incantati, o viceversa a immaginare i paesaggi desolati di Marte, come se il destino della Terra fosse quello di diventare un pianeta morto e deserto. Come scrive lo storico dell’arte Rolando Bellini, tali opere “immaginali” ci offrono una “rappresentazione visiva che si fa vibrante e al contempo immobile, materica e immateriale, reale e irreale, che finisce per coagularsi in una sospensione accadente ottenuta tramite il medium fotografico”. Alla dimostrazione oggettivante il suo lavoro sostituisce la metafora, il simbolo, l’allusione. Invita a riattivare la nostra phantasia offuscata, ricercando reciprocità e sintonie sottili. Così le immagini cariche di pietas della serie Il Pianeta Perduto mostrano una potente sfera imbrigliata in ferri corrosi che la stringono, un po’ come la rete internet e i potenti tubi dei gasdotti avvolgono il nostro “globo terracqueo”. Tali opere ci ricordano la forza della Terra e la potenza della sua vita esuberante, ma al contempo ci fanno sentire, come un brivido di dolore che corre sottopelle, anche la sua sofferenza, il suo essere progressivamente ridotta al silenzio.