L’esploratore inesistente
2014di Gigliola Foschi
“Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / Silenziosa luna?”, si chiedeva Leopardi nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia.
Ebbene, non è questa la domanda che, all’apparire della luna, si pone “L’esploratore inesistente” di Beba Stoppani. Il pastore di Leopardi infatti si chiede il senso del proprio esistere e il mistero del cosmo, standosene quaggiù, sulla terra e interrogando la luna che splende nitida e lontana da lui, nel cielo. Egli si pone quindi come un soggetto stabile di fronte a una luna quale oggetto di contemplazione altrettanto stabile, preciso e differente da lui. Ma la luna che si mostra nelle immagini di Beba Stoppani appare invece come un’entità cangiante e lieve: cioè talmente instabile e incerta nella sua alterità, da sfumare e dissolversi di fronte a un “esploratore” che però è a sua volta così consapevole della propria labilità, da evaporare pure lui al di là di se stesso, in una vacuità aerea e quasi indistinta, dove tutto è interconnesso con tutto, e la luna, le nubi, gli occhi di chi guarda fluttuano senza posa verso orizzonti in continua trasformazione. Allo stesso modo, nelle altre serie di immagini di Beba Stoppani, si mostrano ora frammenti ravvicinati e sfocati di cortecce; ora colori vibranti, verdeggianti e primaverili; oppure invernali, grigi e quiescenti; ma sempre accolti in una distanza/non distanza dove quel che si avverte è soprattutto il fluire incessante di un tempo che va, e poi ritorna, e poi si riallontana, sia dentro di noi sia fuori di noi. In questo processo percettivo di mutua dissolvenza, quel che alla fine permane sembra essere uno stato di consapevolezza luminosa, serena e quieta, dove le cose appaiono semplicemente per quel che sono, cioè impermanenti e prive di sostanza propria, ma anche pacificate e libere dalla sofferenza, purché consapevoli che tutto nel mondo è solo luminosa vacuità.